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La voce critica interiore (come riconoscerla e lasciarla andare)

Pubblicato da dott.ssa Angela Dei Giudici
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Ti è mai capitato di sentire quella voce che, in modo critico, ti dice che non stai facendo abbastanza? O che ti lascia credere che non sei competente nel lavoro che fai… che potresti deludere le persone a cui vuoi bene… 

Quella voce critica che di solito fa sembrare reali ed evidenti come se fossero vere, situazioni che potrebbero accadere; che ti dice “Oh! perché l’hai detto?” … e poi si sofferma su quell’errore insignificante per ore, persino giorni. È anche la voce che ti confronta continuamente, ricordandoti che i tuoi obiettivi sembrano lontani dalla tua portata.

In alcuni momenti è facile che possano sorgere pensieri negativi, ad esempio quando facciamo qualcosa di importante o di nuovo (affrontare un colloquio di lavoro, andare al primo appuntamento). Tuttavia sono persistenza, frequenza e durata di tali pensieri i criteri per capire se sono parte della fisiologica e sporadica apprensione per una nuova sfida oppure se, invece, sono all’interno di un sistema complesso di emozioni e atteggiamenti rigidi verso se stessi (e verso gli altri), quasi udibili, come il suono di una voce (critica) che parla di continuo in modo svalutante (Non hai fatto abbastanza! …Rovinerai anche questa relazione…).

Di cosa è fatta la voce critica interiore

La voce critica (o il critico) interiore è definita come un sistema di pensieri valutativi e ostili verso se stessi e gli altri, ben integrato con la propria storia personale. La voce critica è vissuta come qualcosa di esterno da cui però non ci si riesce a liberare. Più tecnicamente, “la critica interna o autocritica è rappresentata da una voce severa e normativa che interferisce con il processo dell’esperienza immediata dell’individuo”. Essa non è ovviamente una voce reale che ci parla, piuttosto è vissuta come quei pensieri e atteggiamenti autolimitanti che esistono in tutti noi e ci impediscono di perseguire agevolmente i nostri obiettivi.

La voce critica interiore, lungi dall’essere un “motivatore” utile a spingerci sempre più avanti, è all’origine di molti comportamenti non funzionali e poco salutari, rappresentando una specie di nemico della crescita personale, dell’autorealizzazione e del benessere.

Infatti, l’auto-critica e il perfezionismo sono cosa diversa dall’ambizione, sebbene a volte finiscono per confondersi. Senza dimenticare che tale attitudine verso se stessi è una caratteristica essenziale di alcuni disturbi psicologici (inclusi disturbo il depressivo, il disturbo alimentare, il disturbo ossessivo-compulsivo della personalità).

Per molte persone l’auto-critica è vista come la sorgente del successo personale. Al contrario, gli studi dimostrano che tale modo di porsi verso sé stessi è collegato più spesso con la sfiducia, l’ansia, la dipendenza dal giudizio degli altri e l’insorgere di cattive abitudini.

Comprendere la differenza tra sforzo sano e perfezionismo è fondamentale per stendere lo scudo e riprendersi la vita. La ricerca mostra che il perfezionismo ostacola il successo. In realtà, è spesso il percorso verso la depressione, l’ansia, la dipendenza e la paralisi della vita”

(Brené Brown, The Gifts of Imperfection)

Un esercizio di immaginazione

Ora immagina che il tuo critico interiore sia un caro amico/a e immagina di pranzare insieme a lui/lei o fare una passeggiata. Quindi, immagina che per tutto il pomeriggio, questa persona stia lì a giudicarti con tono di rimprovero. Critica il tuo abbigliamento, ciò che hai ordinato a pranzo, i tuoi programmi per il fine settimana e ciò che hai detto al tuo capo.

Riesci ad immaginare come ti sentirai alla fine della giornata? Forse ti sentirai indegno, inadeguato, deluso, magari arrabbiato, certamente non ti sentirai motivato o appagato. Probabilmente, ben presto non avrai più voglia di passare del tempo con questo amico ipercritico.

Allo stesso modo, se senti di dare tanto spazio alla tua voce critica interiore permettendole di rimanere fino a quando lo desidera, puoi iniziare a riconoscere quando ti dici cose che non diresti mai agli altri…

… e lasciarla andare

Sebbene l’autocritica sia stata un argomento di grande interesse per la letteratura in psicoterapia per diversi decenni, la costruzione di modelli esplicativi e le ricerche su ciò che genera l’auto-critca sono stati molto limitati. Un’eccezione sono state le teorie dell’attaccamento, le quali hanno elaborato un modello che lega la critica intransigente verso sé stessi a relazioni affettive con figure di attaccamento normative, non accessibili emotivamente, poco sintonizzate con i bisogni del bambino e inclini alla svalutazione. L’ipotesi è che lo stile emotivo della relazione possa diventare il modello con cui in seguito ci si rivolge a sé stessi.

Come terapeuta, lavoro con molte persone competenti e di gran talento. Mentre a me queste loro qualità sembrano chiarissime, essi hanno difficoltà a vederle in se stessi. Sono infatti molto occupati a portare una iper-focalizzazione su fragilità e difetti poco rilevanti. Ciò impedisce loro di mantenere una più ampia prospettiva, che ne riconosca i progressi e ne accetti i limiti.

Come dare un po’ di relax e calma a quella voce?

Seguendo i suggerimenti di Sharon Salzberg, pioniera della Mindfulness negli USA e fondatrice insieme a Joseph Goldstein della Insight Meditation Society, è utile, prima di tutto, poter fermarsi e notare tale voce dentro di sé. Poi, dopo averla notata, osservandola bene, si può provare a darle un nome e un guardaroba, offrile un tè e la possibilità di riposare… “Deve essere veramente stanca, con quel suo gran rimuginare su tutti quei pensieri negativi” (Sharon Salzberg) .

Bibliografia suggerita